Suzuki SJ, storia “integrale” di una piccola peste
Di Riccardo BellumoriChi è appassionato di storia dell’auto, ed ama inoltre le “Fuoristrade” o meglio le “fuoristradine” conosce bene due date: 1982, anno in cui la Suzuki presenta sul mercato la “Sj”; ed il 1989. Esatto, trenta anni fa, quando la stessa Suzuki, lanciando la “Vitara” un anno prima, di fatto decreta l’uscita dalla commercializzazione della “Suzukina”. Nella storia dell’auto, secondo me, non si trovano molti esempi di un Marchio capace di creare un segmento di mercato del tutto nuovo grazie ad un proprio prodotto con il quale, infine, lo stesso Marchio finisce per identificarsi ed essere contraddistinto.
SJ, o come la chiamavan tutti, “Suzukina”
A pensarci bene, gli esempi si contano sulle dita di una mano, decennio per decennio.
Negli anni ’70? Facile a dirsi: la Porsche 911. E negli anni ’90 si potrebbe citare allo stesso modo Mazda che esplose (commercialmente parlando) con la Miata, la spyderina che ha fatto conoscere il marchio nel mondo. Mentre oggi il pensiero correrebbe – per esempio – subito alla Tesla con le sue Rodster e Model S.
Ma negli anni ’80, quando la sovrabbondanza di marchi, modelli e versioni lasciava ben poco spazio a “nicchie” che non fossero già state ampiamente coperte dai Costruttori, a molti sembrava impossibile proporre al mondo qualcosa di davvero nuovo, diverso, e fortemente personale. Così poteva sembrare a molti, ma non a Suzuki, o meglio alla Suzuki SJ 410/413.
Suzuki, un marchio che ha cavalcato prepotentemente la grande epopea nipponica delle motociclette, insieme alle altre tre Big (Honda, Kawasaki, Yamaha). E le moto sono state il primo biglietto da visita internazionale per Suzuki, fondamentalmente per due motivi: l’esordio di Suzuki nelle auto è stato relativamente recente (esattamente 64 anni fa con la Suzulight del 1955) e realizzato con modelli entry level che, al massimo, rappresentavano la seconda auto per molte famiglie giapponesi, anche per via dei piccoli motori due tempi 350/400 cc. di derivazione motociclistica che equipaggiavano la Gamma iniziale.
Suzuki: dalle due alle “4×4” ruote
Tuttavia, dalla fine degli anni ’70 inizia la new age della Casa di Hamamatsu, la svolta avviene grazie ad un evento poco noto: l’acquisto, da parte Suzuki, di un piccolo Costruttore che nessuno ha mai sentito nominare, la Hope Motor Company che fu acquisita alla fine degli anni Sessanta e che produceva una gamma di vetturette, light van, e piccoli veicoli (tre e quattro ruote) di stampo tipicamente utilitaristico, destinati ad attività commerciali, artigianali, o al tempo libero.
In particolare, fu un modello ad attirare l’attenzione: un “fuoristradino”, l’ON 360, adattissimo come piattaforma di base per la evoluzione di un prodotto che Suzuki (acquisiti i diritti da Hope) produsse a partire dal 1970 e denominò LJ 10.
Da questo passo iniziale, il seguito fu quello di evolvere gradualmente una gamma di prodotti – chiamarli “fuoristrada” sarebbe poco appropriato, evidentemente – che si posizionavano a metà tra un piccolo veicolo commerciale da lavoro e un mezzo per il tempo libero. E per tutti, la famiglia identificativa di questo prodotto divenne Jimny, un nome ripreso decenni più tardi.
La LJ 10 non era ancora, in verità, un prodotto globale: spartana, piccola, con motore Mitsubishi due tempi.
Troppo poco per essere diffusa in grandi numeri, ma con le successive evoluzioni si arrivò al modello che portò alla diffusione di Suzuki al di fuori dei confini nazionali: la LJ 80 (siglata anche come SJ 20) del 1977.
Un prodotto rimasto poco diffuso e poco noto, che però iniziava a proporre sul mercato le caratterizzazioni che faranno la fortuna delle generazioni successive di “fuoristradine”: piccolo motore quattro tempi da 800 cc, diversi corpi vettura (berlina SW tetto chiuso, pick up, telonato).
1982: la piccola grande rivoluzione
Tutto questo costituisce il Dna della famosa Serie SJ 410/ SJ 413, proposta a partire dal 1982. Eccola, la prima vera best seller, la “fuoristradina” a trazione integrale inseribile, l’apripista di un segmento che fino a quel momento vedeva in offerta (ma con caratteristiche e vocazione completamente diverse) soltanto un prodotto del lontano Est Europa: la Lada Niva.
Mentre quest’ultima rappresentava però più la proposta entry level di un autocarro tipicamente da lavoro, la Suzuki SJ 410 (1000 cc) prima e la serie SJ 413 (1300 cc.) dopo, si proposero fin da subito come versatile alternativa per il lavoratore, per le piccole famiglie e addirittura per chi faceva dell’auto una propria estensione alternativa e “snob”. E fu un successo.
Persino alla Parigi Dakar
La Suzuki SJ è stata ritratta ovunque: nei centri urbani a fare shopping, a fare una scampagnata al lago, nel traffico verso l’ufficio. Ma – visto che la Suzukina era un tipo tosto – anche nei rally raid, nei raduni di fuoristradisti annegata nel fango. Insomma, la ricetta ideale per un boom commerciale A tal punto che sia per soddisfare la domanda sostenuta, che per beneficiare di vantaggi fiscali comunitari, Suzuki diede licenza alla spagnola Santana per una produzione parallela a quella giapponese.
Nel 1989 Suzuki lanciò sul mercato l’evoluzione Samurai, un prodotto ormai maturo e professionale, che tuttavia non lasciava più spazio alla “giocosità” caratterizzante le originarie SJ.
L’esigenza di circoscrivere la gamma della Samurai rispetto alle SJ nacque soprattutto per l’affiancamento alla Samurai di un nuovo prodotto, nato a partire dal 1988. Un nome che a sua volta segnerà la storia dell’off road e di cui a sua volta gli appassionati hanno un ottimo ricordo: la Suzuki Vitara. Ma questa è tutta un’altra storia.
Riccardo Bellumori
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