Piloti e Titoli mondiali di F1, la solitudine …dei “numeri primi”
Di Riccardo BellumoriUn eventuale bis mondiale di Verstappen porterà in perfetto pareggio il numero di pluri -Campioni del Mondo con quelli “in solitario” presenti in Albo d’Oro. Il segno di un Trend ormai ineluttabile?
Formula Uno Stats – Mondiale di F1 2022, il settantatreesimo dalla nascita della formula dal 1950, la sua prima edizione. Quell’anno vinse Nino Farina, su Alfa Romeo. La prima di due sole volte, da allora, per la casa milanese.
Ma la statistica non è su questo argomento, ora. Perché il 2022 “rischia” di dare luogo al primo record finora mai accaduto in questa competizione: se Max Verstappen riuscisse a vincere quest’anno il suo secondo Titolo Piloti, per la prima volta nell’Albo d’Oro della Formula Uno il numero di piloti capaci di vincere più di un Titolo Mondiale sarà pari al numero complessivo di piloti che di mondiali ne hanno vinto uno solo a testa.
Finora è proprio l’olandese della Red Bull Honda a tenere in bilico e in precario disequilibrio la classifica, esattamente con 18 piloti per la categoria “Mono” e 16 per i pluri campioni.
Si prepara un sorpasso storico?
Probabilmente questa eventualità non era neppure lontanamente ipotizzabile alla nascita della formula organizzativa, anche per il progressivamente crescente numero di Piloti partecipanti provenienti sia dal ricambio generazionale generato dalle cosidette “Formule minori”, sia dalla espansione progressiva del Circus nel resto dei continenti mondiali ed oltre l’Europa con gli USA, Asia e Oceania in testa. Ma soprattutto questa eventualità sembrava davvero poco probabile nel corso perlomeno dei primi 35/40 anni di Circo Iridato, animato per la maggior parte da Teams artigianali più che dai costruttori o dai networks ai quali siamo ora abituati.
Questo, ad onor del vero, fino alla discesa in campo della prima “macchina da guerra” globale definita nell’incontro fortunato – a partire dai primi anni ottanta – tra la McLaren all’epoca ancora di Teddy Meyer e la Project Four Racing di Ron Dennis: tra il 1984 ed il 2008 – con motori TAG Porsche prima, e Honda e Mercedes dopo – la dinastia “MP4” ha iscritto per ben 10 stagioni su 24 un suo Pplota in Albo d’oro.
In effetti un record a sua volta difficilmente eguagliabile, e da allora evidentemente il destino storico delle gare di Formula Uno ha preso una piega irreversibile.
Prima di allora sarebbe infatti sembrata più plausibile una staffetta più sensibile e costante tra piloti vincenti una sola stagione, questo anche in virtù della estremizzazione – per non dire ossessione – tecnologica e di sviluppo evolutivo che ogni anno, anche per effetto delle modifiche regolamentari, si è avuto su telai, aerodinamica, motori, pneumatici ed elettronica.
E seppure già nel decennio 1950-1959 la Formula Uno si trovò a vivere l’era dei suoi primi “schiacciasassi”, cioè Fangio ed il povero Ascari (la cui fine prematura ha stroncato la carriera di un vero e proprio mastino, capace di iscrivere nelle stats di Formula Uno oltre il 40% di vittorie e Pole Position e ben il 50% di Gare nelle prime tre posizioni prima del maledetto schianto a Monza), soprattutto l’exploit di cinque titoli dell’argentino sembrò per diverso tempo da considerare una eccezionalità più che un evento ripetibile.
L’epopea dei Campioni seriali
Da quel momento si verificò una successione di “Bi” Campioni mondiali che animò tutto il periodo sino al 1966, quando ben sei anni dopo il suo secondo Titolo, Sir Jack Brabham andò a firmare per la prima volta nella storia un terzo Mondiale dopo aver a lungo condiviso il podio virtuale nell’Albo d’Oro con il povero Jim Clark (che a sua volta, se il destino non avesse deciso diversamente, sarebbe stato sicuramente candidato come primo antagonista storico di Fangio per numero di Titoli vinti), e con l’ormai prossimo (nel 1968) bicampione Graham Hill.
Ma già nel 1969 si respira una nuova aria, in Formula Uno, e la dinastia dei Campioni seriali comincia ad aumentare i suoi rampolli. Considerando anche la tragica fine di un altro mancato campione seriale (Jochen Rindt, perito in un incidente assurdo a Monza e unico Campione del Mondo post mortem), tra il 1969 ed il 1977 tre Piloti ipotecano l’80% dei Titoli in Palio (Stewart, Fittipaldi e Lauda) e ci si rende conto da quel momento che l’era del professionismo esasperato, dei piloti in simbiosi con squadra e mezzo meccanico è diventata la strada obbligata del Circus. In questo decennio, proprio tra il 1969 ed il 1978, si assiste infatti ad una sorta di “Gateway” generazionale e culturale dei piloti.
La nuova generazione, in simbiosi perfetta con l’auto
La generazione di Lauda, Stewart, Reutemann, Jones, cioè piloti capaci in caso di dormire dentro ai box pur di non perdere il contatto con la propria monoposto e con il suo sviluppo, supera e rimpiazza in poco tempo la generazione dei piloti avventurieri, spacconi, quasi romanzeschi, che con James Hunt come capo fazione simbolico continuano a vivere la Formula Uno come una manifestazione di eccessi e in molti casi vizi.
Da quel decennio ad oggi sono passati altri anni, e la truppa dei piloti pluricampioni si è ulteriormente rinforzata. Fino ad arrivare, nei 28 anni tra il 1994 fino alla scorsa stagione, all’avvento dell’era Schumi.
Certo, di per sè coincidente con la tragedia di Ayrton Senna che a sua volta ha portato via dalla passione dei tifosi un altro potenziale primatista per numero di titoli raggiunti, e questo a sua volta ha segnato un nuovo passaggio epocale.
Ma da quel 1994 al 2021 5 soli piloti hanno totalizzato e conquistato ben 22 Titoli mondiali, aggiudicandosi quasi l’80% del bottino disponibile e lasciando ad altri 6 piloti l’onore di dividersi i sei Titoli residui.
Tra questi sei Piloti, appunto, vi è in elenco anche temporaneamente il bravo Max Vestappen. Ma, viste le premesse, le classifiche e le statistiche muteranno presto. Con una domanda: è finita l’epopea dei Campioni “in solitario”?
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