Cisitalia D46, la formica miracolosa
Di Riccardo BellumoriPochi marchi possono fregiarsi il diritto di essere ritenuti rivoluzionari nella storia dell’auto così come viene ricordata la Cisitalia. E poche altre auto così poco ricordate come la “D46” hanno – al contrario – potuto costruire una storia fondamentale sia per il Marchio di Torino che per l’evoluzione automobilistica in Italia ed in Europa.
Ecco perché, in un pezzo dedicato proprio a lei, alla Cisitalia D46, si fa fatica a narrare le capacità ed il ruolo che la “piccola” ha assunto sia per la vita industriale della Cisitalia che per alcune pietre miliari della storia sportiva e sociale dell’auto italiana nel primo dopoguerra.
“Annebbiata” dalla gloria della leggendaria “202” di Pinin Farina (e del MOMA), e vittima a sua volta delle vicende del Marchio in seguito alla infausta “360 Grand Prix” by Ferry Porsche, la “D46” è in effetti una perfetta “incubatrice” di tante vicende fondamentali, ma così tante che, credo, per poterle descrivere compiutamente tutte per come le conosco, dovrei usare… l’alfabeto.
Non ci credete? E allora cominciamo:
A, come Abarth; B, come “Brevetti”; C, come “Corse”; D, come “Duecentodue”; F, come “Formula Junior”, L, come “Low Cost”; M, come Monomarca; N, come Nuvolari…Visto quanti riferimenti per una realizzazione così poco ricordata?
“Non c’erano soldi ma tanta speranza…”
Iniziamo dalle origini della Cisitalia e del suo piano industriale straordinario: l’Europa era piombata nella Seconda guerra mondiale con una composizione automobilistica molto eterogenea. Tralasciando la Germania di Weimar dove davvero l’auto era un piccolo miraggio, in Inghilterra circolavano già 3 auto ogni 200 abitanti, in Francia poco meno di due ogni duecento, ed in Italia un’auto ogni 1000 abitanti!!
Piero Dusio, rilevando una fabbrica e convertendola nella produzione industriale di auto, da ex pilota e da geniale imprenditore quale era, comprese da subito quanto importante sarebbe stato il ritorno alle gare per promuovere anche a livello sociale la diffusione dell’auto.
E pur preparandosi con largo anticipo – forse – alla grande sfida della “Mille Miglia” che riprese i giochi dal 1947, Dusio pensò che sia l’auto privata che il ritorno alle gare dopo la guerra potevano pemetterselo in pochissimi, e che una vera e propria vettura “low cost” e soprattutto “multipurpose” (cioè in grado di correre sostanzialmente immutata sia su pista, che su terra o su percorsi di montagna) non esisteva ancora alla data del 1945.
Anno in cui, appunto, nel retro della parte di villa personale di Dusio (che i bombardamenti avevano lasciato in piedi) si dice che Dante Giacosa cominciò a lavorare al tecnigrafo e con le modellazioni in scala – soprattutto di notte, pare, per non incorrere in accuse di concorrenza sleale con il suo datore principale Fiat – per regalare al motorsport italiano un modello in grado di rimettere al volante il maggior numero di piloti ed aspiranti tali.
E proprio nelle stradine intorno a quella villa un temerario Piero Taruffi, compagno di avventura di Dusio nella saga Cisitalia, collaudò i primi prototipi di una vetturetta per gare “low cost”.
Una necessità sentita chiaramente anche nel resto d’Europa, sia da quella parte sconfitta dalla Seconda Guerra (in Germania le prime vere auto sportive di massa furono, se volete crederci, le Goggomobil…) sia in quella “vincente (i garagisti inglesi che modificavano di tutto, e i primi preparatori francesi sulla piccola Renault 4); ma quel che realizzò la piccola “D46” fu molto di più: la vetturetta della Cisitalia fu concepita come auto “entry level” per piloti privati che volessero affrontare le corse senza investire un capitale, e potendo correre su strada, in montagna e su sterrato, ed addirittura in fuoristrada; per risparmiare sul prodotto finale la meccanica era in massima parte derivata dalle Fiat di serie, compreso il motore da 1100 cc, modificato in modo da raddoppiare la potenza dai 32 cv originari fino quasi al massimo di 65 cv delle ultime evoluzioni nel 1948.
Per evitare “ingombri” nella parte superiore dell’auto e dello strettissimo abitacolo, il cambio delle prime versioni non era manuale, ma a pedale a 3 marce, riprendendo un brevetto della Fiat di prima della Guerra. Funzionamento? Un primo colpo al pedale attivava la frizione e uno successivo inseriva la marcia; la sequenza (2-3 oppure 3-2) si decideva dunque con il semplice movimento del piede mentre cambiando posizione ad una leva posta sotto il volante si selezionavano solo due posizioni: prima in marcia avanti o retromarcia… Benchè piccola e di immediata utilizzabilità, la D46 aveva quindi un particolare tecnico di rilievo, e come forse pochi ricordano questa ed altre peculiarità furono alla base dell’”impresa” di Nuvolari alla Coppa Brezzi del 3 Settembre del 1946 (la famosa “corsa senza volante”….).
Senza la “D46”, al Valentino Nivola si sarebbe fermato?
La piccola Cisitalia, forse proprio per queste sue tante particolarità, venne fotografata più di traverso nelle curve che non in direzione diritta; certamente “merito” del fatto che con il cambio a pedale si potevano tenere entrambe le mani sul “manubrione” ex Fiat Topolino, il quale fu reso ribaltabile proprio per consentire al pilota di entrare ed uscire senza rompersi ginocchia e gabbia toracica contro la amplissima corona; non a caso, appunto, Nuvolari riuscì pur senza volante a compiere almeno due giri tenendo tutte e due la mani attaccate ad un moncone delle due “razze” che fungevano da leveraggio per il ribaltamento del volante, e vi riuscì – credetemi – non senza inconvenienti: complice una manovra azzardata ed il precario equilibrio nell’abitacolo Tazio finì con l’addome contro il piantone e per diversi minuti fu colto da conati di vomito, a quanto pare…
Come detto, della piccola Cisitalia in azione, rimane un patrimonio fotografico in cui la “D46” venne fotografata più di traverso nelle curve che non in direzione diritta.
Il suo assetto tipicamente sovrasterzante si deve principalmente alla dislocazione dei pesi che rendeva sovraccarico l’anteriore, con l’albero di trasmissione posteriore che – grazie ad una infinità di rinvii conici ed al ribaltamento – era decisamente inclinato ed abbassato sulla linea orizzontale del veicolo per tenere corto il passo di tutta la vettura (lunga 3 metri tutto compreso) e per poter tenere a bassa quota il sedile del pilota.
La “D46” fu la prima vettura, presumibilmente, ad avere un telaio integralmente a traliccio di tubi di derivazione aeronautica: merito anche delle “giacenze” aeronautiche provenienti dalla Guerra, da cui l’Ingegner Dante Giacosa (esperto di costruzioni aeromobili) attinse a piene mani anche per la profilatura della carrozzeria che in effetti sembra una fusoliera di piccolo aereo, con la pelle di alluminio “made by” Carrozzeria Motto, un noto e prestigioso artigiano dell’epoca.
Alla linea essenziale ma suadente delle diverse evoluzioni successive della “D46” (D47) partecipò anche la matita di un già famoso stilista come Mario Revelli de Beaumont.
I primi “Monomarca”
E alla fine, in quella linea essenziale, l’unico vezzo adottato (ma molto presto abbandonato) fu quello della carenatura aerodinamica dei bracci anteriori, alla quale in certi casi si è provato addirittura ad attaccare un fanale anteriore…… La carenatura, tuttavia, fu presto eliminata per togliere peso e complessità.
Tanto che la “Coppa Brezzi” sul circuito del Valentino sarà una delle poche occasioni in cui le “D46” schierate da Dusio hanno le carenature delle sospensioni anteriori. A proposito, la “Coppa Brezzi” del 3 Settembre 1946 fu rilevante per almeno tre motivi: perché fu parte della prima gara che si svolgeva su circuito chiuso – in Italia – dopo la fine della Guerra; perché come disse Giacosa, la “Coppa Brezzi” fu una passerella per mezzi che in altri contesti avrebbero avuto scarse o nulle possibilità di figurare in una gara; ed infine fu un vero e proprio debutto per la stessa “D46” che fu schierata dalla Cisitalia ufficiale in sette unità vincendo contro le pericolose Simca Gordini e contro le pepatissime “Stanguellini” ufficiali.
A paragone delle quali, vere e proprie lillipuziane monoposto da corsa, la “D46” pareva una zanzara. Contro gli oltre 75 Cv e 470 Kg. delle Stanguellini le Cisitalia “D46” opponevano minori cavalli ma circa un quintale in meno… A partire dalla “Coppa Brezzi”, diversi nomi celebri del Motorsport internazionale sedettero sulla piccola 1100: Taruffi, Nuvolari e Bonetto “Of Course” ma anche Varzi, Ascari, Villoresi, Cortese, e persino un nobile, invecchiato e sempre nobile Hans Stuck – leggenda tedesca di prima della Guerra – tentò il rilancio nel 1947 alla guida di una “D46” che sotto il suo voluminoso corpo da granatiere sembrava una automobilina a pedali… Intendiamoci, per i progetti di Piero Dusio la “D46” esarebbe rimasta ovviamente una “entry level” necessariamente surclassata dalla “202” e dalla futura Formula 1.
E sarebbe dovuta servire a reperire Cashflow, grazie a previsioni di vendite e diffusioni che alla fine in realtà non ci furono. Ma alla base del presunto successo della piccola monoposto Cisitalia c’era l’idea di un prodotto ideale per tornei monomarca dovunque e con pochissima spesa. In fondo Dusio anticipò di circa 10 anni la nascita della “Formula Junior” da parte della F.I.A. Ma prima di ciò Piero Dusio fu il primo vero promotore unitario ed auto organizzato a promuovere gare monoprodotto. E fu praticamente un visionario quando, per promuovere il Marchio Cisitalia portò a Marzo del 1947 un pacchetto di D46 in Egitto, a gareggiare sotto gli occhi del Re Farouk. La prima vera Kermesse monomarca internazionale del Dopoguerra !!!
D46+D46 = 202…
Alla ricerca del completamento di Gamma con una biposto, possibilmente strutturata per la prestigiosa “Mille Miglia”, l’idea iniziale che diede vita alla “202” di Savonuzzi partì proprio dall’ampliamento di un telaio della “D46”…. Quel traliccio di tubi, ideato da Giacosa, permise alle maestranze Cisitalia – esperte nella saldatura delle biciclette e di parti aeronautiche – di utilizzare quante più parti comuni tra “D46” e “202”, di tenere basse le parti meccaniche e di poter “vestire” intorno all’ossatura della “202” una sottile pelle lavorata dai maestri Battilastra a partire dai disegni che non più Giacosa ma Savonuzzi stesso realizzò prima in versione aperta “Spider” e poi in versione chiusa a partire dal prototipo “202 Cassone”.
Ah! Abarth!
Come già in molti saprete, la storia di Cisitalia unica ed inimitabile si svolge in un sospiro di anni: solo tre dalla “Coppa Brezzi” di esordio nel mondo del Motorsport al decreto di Amministrazione Controllata del Tribunale dopo il quale la Cisitalia non fu mai più la stessa. In questa storia entrano come collaboratori di Dusio alcuni nomi “sacri” dell’auto. Uno di questi fu Carlo Abarth. Inizia a 19 anni a lavorare presso la “Motor Thun” di Traischkirchen, nel distretto di Baden in Bassa Sassonia. Finisce per trasferirsi a Merano, dopo mille vicende, e commerciando in tessuti e biciclette conoSce Piero Dusio. Ovviamente finisce tra i primi collaboratori del fondatore della Cisitalia. A questa deve, incidentalmente, sia la prima marmitta venduta a marchio “Abarth” (derivata da un progetto che l’Ingegner Savonuzzi avviò in Cisitalia) che un magazzino ricambi proveniente dalla liquidazione della Casa dello Stambecco dopo l’amministrazione giudiziale.
Mentre nella Impresa a proprio nome Abarth procedette al perfezionamento delle “Abarth Cisitalia” 204 e successiva “205”, due progetti rimasti al mero stato embrionale presso la Cisitalia che chiudeva il suo ciclo di vita; nel passaggio dalla Cisitalia alla futura successiva “Squadra Corse Abarth” – nata il 15 Aprile del 1949 proprio sulla base del materiale ereditato dalla Cisitalia – Karl Abarth si distinse proprio nella cura e sviluppo diretto della “D46” che divenne in un pezzo unico – nel 1947 – la “D47” con cui Piero Taruffi vinse il Gran Premio di Roma a Caracalla; e che a partire dal 1948 esaurì il suo cammino nelle ultime versioni denominate appunto “D48” e “D49”. Ma ormai, lo ripeto, erano davvero cominciati altri tempi…Per inciso, dalla “D47” in poi si adottarono i Carburatori Weber, altro nome il cui destino finì per essere inesorabilmente tragico.
Dalla D48 a seguire si vedrà l’impronta del subentrato Abarth anche nella linea. La affusolata e discreta “D46” si trasforma in una piccola “muscle Car” con gobbe sul cofano, groviglio di tubi di scarico incombenti a svelare l’aumento di cilindrata a oltre 1200 cc per più di 70 cv. Lo Scorpione cominciò così a pungere…. Dando vita ad un’altra, incredibile, storia.
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SALVE VORREI SAPERE QUANTE D 46 SI SONO SALVATE E QUANTE NE SONO RIMASTE
GRAZIE
sauro squerzanti
Buona sera, mi scuso per la risposta tardiva e per la notizia non incoraggiante. Non posso sapere il numero di D46 in vita per la compresenza di auto clonate, falsi, e per le condizioni di quelle rimaste in vita. Le suggerisco, magari, di contattare il Museo Nicolis o di rimanere in contatto qui con il sottoscritto perchè sto per realizzare una sorpresa….