Il “New Deal” delle auto elettriche: la “Griffe” diventa più importante del Brand?

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Bei tempi. I più si ricorderanno sicuramente la “M” di Motorsport, la divisione sportiva di BMW che firmava dal 1972 le versioni sportive della Casa Bavarese. Ed ovviamente l’Abarth per la Fiat.

Ma in questa classifica delle “firme dell’eccellenza” nel settore Auto, andando a memoria c’erano la Mulliner Park per la Rolls Royce; a Ghia per la Ford, la Gordini per Renault, la Cooper per l’inglese Austin / Mini le quali appartenevano al Gruppo BMC per il quale la “Vanden Plas” e successivamente la “Sterling Motor” firmarono parecchie versioni speciali; ma anche la Matra finì per diventare la “griffe” di Peugeot/Talbot; come la Daimler da Marchio produttore controllato dalla Jaguar ma parallelo a quest’ultima finì per “firmare” le versioni più esclusive della Casa del Giaguaro.

Ed anche negli USA Chrysler aveva “Le Baron” (un antico produttore di carrozzerie esclusive) per le versioni di pregio ed Eagle rappresento’ praticamente la divisione estrema di AMC ad opera di Dan Gurney. Ante-litteram la stessa “Cobra” da versione sportiva elaborata da Carrol Shelby per il piccolo Marchio inglese AC (controllato da Ford) divenne una vera e propria linea di produzione quando la Casa di Dearborn assorbì il piccolo Costruttore.

Mentre in Giappone spiccava Mugen Power per la Honda, senza dimenticare che AMG, da elaboratore indipendente, finì per griffare sostanzialmente tutte le sportive Mercedes dalla metà degli anni ’90. Questa, a memoria, una veloce rassegna che dimentica purtroppo tanti nomi.

E poi, dalla fine degli anni Novanta la dinamica “globalista” dei Marchi auto, l’opportunità di sviluppare identità di marca e diffondere il concetto assoluto del Brand ha portato lentamente alla scomparsa delle Griffe.

Anni 90: il declino delle “Firme” e la filosofia del “Brand”

Con questo termine (Griffe) intendo non proprio i Designer o i Centri Stile canonicamente impegnati al disegno di Stile o alla elaborazione in outsourcing di specifiche linee di prodotto o di famiglie di autovetture per conto delle Case madri.

No, le “Griffe” corrispondevano proprio a realtà aziendali di prestigio – partecipate direttamente dai Costruttori o perché acquisiti o perché assorbiti dentro la compagine industriale di Marchi o Gruppi – a cui era demandata la “griffatura” di modelli o linee esclusive di auto prodotte dal Costruttore.

Il concetto più facile, per chi non è proprio giovanissimo, deriva dalla Ghia dentro la Ford. La Ghia era una Carrozzeria/Centro Stile fondata a Torino ad inizio ‘900 e acquisita dalla Ford nel 1973, da allora ha contraddistinto le versioni esclusive di parecchi modelli della Casa, nonché diverse concept car.

Stesso destino per Le Baron dentro Chrysler, Mulliner Park per Rolls Royce e Daimler per Jaguar contrassegnavano invece versioni iper-ricche di vetture già di per loro prestigiose.

Le “Griffe”, simboli di prestigio e distinzione

La versione o la serie griffata corrispondeva – nel lessico del rapporto tra cliente e marchio – al traguardo, al punto di arrivo di una qualità insuperabile all’interno della produzione di serie.

Poi, sono arrivati appunto gli anni Novanta, con il concetto “appiattito” e teutonico della qualità totale: tutto doveva sembrare perfetto, fino nell’ultimo lamierato, in ogni modello e linea di prodotto. Insomma, la battaglia finì per essere tutta sul “Brand” e sul concetto di “Premium”.

Le Case Madri rivoluzionarono il loro stesso essere sul mercato cercando di proporsi non più prevalentemente come Corporate, cioè Holding di complessi industriali/finanziari, ma come collettori di una serie di valori esclusivi aggiuntivi ed anche immateriali inquadrati dal Brand appunto (spiegazione sintetica ma spero calzante).

Pertanto sempre meno le Case Madri avrebbero continuato a proporre la convivenza (diciamo “scomoda”) tra un Marchio generalista ed una Firma artigianale, ricca di evocazioni e prestigio con il sottile rischio di offuscare il Marchio, costruendone appunto un “Upgrade” attraverso la “Griffe”.

Il seguito di tutto questo lo sappiamo: molti sono usciti con le ossa rotte.

Nel frattempo ci siamo resi conto che la storia dell’Automotive ha lasciato dietro di sè un patrimonio di Marchi storici che, a differenza dei player contemporanei, non ha mai sofferto tempi di crisi, tanto è vero che si è creato il paradosso per il quale nel mercato attuale alcuni Marchi (vedi la Lancia) sono sofferenti mentre le loro realizzazioni d’epoca non conoscono crisi….

Il “Branding” ha imboccato il viale del tramonto?

E così forse, data anche la inevitabile parabola del concetto di Brand a favore di un ritrovato concetto di Corporate ecco l’inevitabile ritrovato link tra Marchi Costruttori e Griffe.

Perchè l’unione tra i due concetti non è solo una operazione di Marketing, ma identifica il superamento di una soglia culturale: quella di Gruppi e Marchi ormai non più ostaggio del tabù della Total Quality (oramai di dominio generalizzato nel 99,9% del workflow e della catena di montaggio di tutti i Costruttori) e dunque liberi di coniugare valori tipici della organizzazione industriale globale con l’elemento evocativo ed emotivo della firma di prestigio, per qualificare prodotti più esclusivi di una produzione generalista. Senza contare che la Griffe, da sola, è portatrice di maggiori margini di guadagno su Merchandising, Service Management e Tuning.

Ma con una differenza rispetto al passato: elevare la “Griffe” da plusvalore di un Marchio a elemento dimensionale dello stesso: non è un caso che – come accaduto tante altre volte nella storia dell’Automotive –a gettare il ponte verso questo New Deal sia Ford, con la linea Vignale.

Erroneamente definita un Brand secondo me, perchè il Brand rimane Ford ma anzi si rafforza in virtù dell’accoppiamento con la firma Vignale.

Auto elettrica: il “Brand” è TESLA. Agli altri non resta che “Griffarsi”?

Il modulo comunicativo di Ford presenta in effetti il prodotto Vignale come un “mondo nel mondo” della Casa dell’ovale. In questo, secondo me, centrando l’obbiettivo ancora più efficacemente di Citroen con DS, che a sua volta continuo a definire una Griffe e non un Brand.

Il fenomeno che mi sembra sensibilmente in crescita nel mercato auto “tradizionale” sembra essere diventato prioritario nel prossimo, agognato, mercato della mobilità elettrica. Dove non solo la partecipazione alla “Formula E” per molti Marchi diverrà una tappa obbligata, ma dove lo sviluppo di “Griffe” in affiancamento ai “Brands” tradizionali e ormai consolidati a quanto pare non resteranno un fatto isolato o sporadico. Perlomeno sui mercati occidentali perché, si sa, le strategie commerciali dei Produttori europei ed americani, in Cina ed India, devono seguire dinamiche diverse e specifiche: prova ne sia ad esempio il preannuncio di Volkswagen che ha presentato Seat in Cina come la “electric Company” del Gruppo.

Tornando alle “Griffe”, a seguire la evoluzione e la costruzione dell’immagine di molti Brands si nota una rincorsa alla “distinzione elettrica” anche in Marchi che di certo non avrebbero bisogno di “riforzini” di immagine.

Dalla Mercedes con EQC, che da sigla di un prossimo SUV 100% elettrico potrebbe diventare una vera e propria linea di modelli; alla Polestar per Volvo, alla Divisione “i” per BMW, anche le più rinomate Case a quanto pare ritengono importante identificarsi in una specifica “firma”. Insomma, nel mondo “nuovo” della mobilità elettrica, nonostante la sovrabbondanza di Marchi e Gruppi pare proprio esservi un nuovo bisogno delle care gloriose “vecchie firme”.

Perché? Il motivo, secondo me, c’è. E lo ho anticipato nel sottotitolo di questo ultimo capoverso, e non solo. Rileva anche alla possibilità, per non dire opportunità, dei Competitors del mercato elettrico di passare da “produttori” a veri e propri “Providers” Ma come nelle grandi inchieste, di questo ne parleremo… “alla prossima puntata”

Riccardo Bellumori


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